Credo sia stato un raptus di nostalgia estiva, a farmi prendere la decisione istintiva e imprevedibile, di tornare all’intaglio. I miei pensieri un po’ agitati dalla calura avevano rimbalzato di sinapsi in sinapsi, catapultandomi al camping Tahiti di Follonica: le ombre dei pini in movimento e il coro di cicale, le uniche a poter evadere i rigorosi dettami delle ore di silenzio pomeridiano. Io sedevo a ricamare una striscia ad intaglio di un album di Mani di Fata. Avrò avuto sui 13 anni. Una signora senese si era avvicinata per sbirciare il mio lavoro e, con quella parlata così affascinante ed elegante, aveva tessuto lodi incoraggianti, fatto domande, raccontato i suoi lavori in corso, lanciato qualche piccolo suggerimento. Ci eravamo lasciate con la promessa che mi avrebbe insegnato qualche punto nuovo. Come rimpiango questi incontri veicolati da un pezzetto di tela! L’indifferenza e l’esitazione di oggi non ha più prodotto parole, neppure in treno! Comunque… L’indomani era arrivata con una fettuccia e un cotone sfumato verde e avevamo provato insieme alcuni modi per rendere le foglie. E poi mi aveva fatto un regalo che avrei custodito negli anni con grande e curiosa cura: un aculeo di istrice da usare come punteruolo per il punto inglese. Era moglie di un cacciatore e si faceva raccogliere gli aculei che gli istrici normalmente disseminano per i boschi. L’ho serbato nella mia scatoletta per anni, ma un giorno ero inorridita a scoprire che un tarlo se ne era mangiato un bel pezzo: rosicchiare ricordi è un bassezza imperdonabile. Ma la mia mitica Miranda, un giorno, mi si è presentata in fiera con tre piccoli tesori e non escludo che ella abbia percepito il sussurro della mia vecchia amica, il cui nome purtroppo si è perso nello scorrere impetuoso della mia vita e dei miei ricordi.