Scoccò l’una di notte.

Ero irritata perché, nonostante considerassi l’appuntamento col fantasma del passato un’immane scocciatura da svicolare con un bel sonno ristoratore, non avevo chiuso occhio ed ero rimasta sdraiata a fissare il soffitto, col ventilatore che ronzava senza tregua. Presa da una certa inquietudine, infatti, avevo sbarrato le finestre, ma l’aria d’agosto del sottotetto può mettere a dura prova anche un animale da deserto come me.

Ad un tratto il lume di candela vacillò e mi paralizzai all’udire la voce temuta e scorsi nell’oscurità quella strana figura, fluttuante e mutevole, un che tra il bambino e il vecchio, con quel getto di luce viva che gli usciva dal capo.

Gli dissi subito, animata da un grande spirito di cortesia: Grazie per la tua premura, ma non guastiamoci la nottata: torniamo a dormire entrambi! Il mondo è pieno di gente instabile e rancorosa, su cui riversare le tue tanto amorevoli quanto fastidiose intenzioni!

Sorgi e seguimi, replicò.

Cioè adesso voleremo fuori dalla finestra in cerca dei miei passati Natali d’agosto?! Risparmiami questa inutile agonia!

Sorvolammo il paese, la campagna, i fiumi e i laghi, ma poi, con un’inversione a U, ritornammo in paese e io mi convinsi che avesse sbagliato strada. Iniziai a brontolare che di questi tempi non ci si può fidare neppure degli Spiriti e che se voleva potevo aprirgli Maps. Poi però scorsi la casetta di via S. e una luce accesa dietro la porta vetri del balcone che si affaccia sulla via. Vidi la figurina curva alla scrivania, che ella stessa aveva posizionato a ridosso della porta, per avere più luce, ma anche per ritagliarsi un angolo privato al di fuori dalla camera sovraffollata di sorelle. Intorno a lei una libreria e una vetrinetta, che si era fatta recuperare da un rigattiere, su cui aveva posato tutte le sue cosette: le riviste di punto croce, i vecchi album sul Punto Assisi della zia d’Arezzo, i Rakam degli anni che furono, e ancora i soprammobili scelti con estenuante indecisione durante i viaggi e i libri di scuola. Alla scrivania, il cestino da lavoro con gli orribili lavoretti a punto croce sparsi e incompiuti.

Il mio cinismo fu scosso da un tuffo al cuore.

Un ricordo (un’immagine fossilizzata in una sinapsi) può aprire un varco che ti risucchia in una corsa accelerata, in cui sbandi, senza una sequenza temporale precisa, in scorci di vita vissuta, con la stessa confusione e vividezza di un sogno. Ogni immagine su cui rimbalzi apre nuovi varchi e riaffiorano personaggi, parole, sensazioni. Terribile ed affascinante rendersi conto che erano lì, dentro la tua testa, senza che tu ne fossi davvero consapevole.

Riesci a vedere cosa sta facendo? Chiese lo Spirito con una punta di irritante soddisfazione.

Affatto! Risposi io mentendo. Capivo, dal suo sorrisetto, che sapeva che io non potevo ignorarlo, ma avevo giurato a me stessa che non gli avrei regalato alcuna soddisfazione.

La sciagurata aveva ricamato una candela a punto croce, che poggiava su un portacandele fatto di pungitopo, bacche rosse e lustrini oro. In quel preciso momento stava cercando il modo di attaccarlo nel vano ripiegabile di un cartoncino con passpartout ovale, creato appositamente per realizzare biglietti di Natale. A quel tempo andavano molto di moda. Era chiaramente estate, perché indossava un vestitino leggero e non era così grassoccia come la mia mente usava giudicare il suo aspetto.

Nel rievocare alcuni ricordi correlati, provai contemporaneamente tristezza per la lei di allora, la me di adesso, e per quella punta di rimpianto che saliva alla gola, nonché la nostalgia per i bei momenti di allora. Guardai con occhi feroci il mio Spirito per cercare di cancellare, invano, l’odioso sorrisetto. Ohibò! Disse. La fanciulla prepara i regali di Natale!

Se la fanciulla lì stesse studiando, adesso forse riuscirebbe a concludere qualcosa di buono!

Mi strappò al ricordo e mi trascinò sopra ad una radura innevata, che riconobbi subito. Una buona dozzina di ragazzini del quartiere inscenava una battaglia epica a palle di neve e lei, nello squadrone delle ragazze, ci dava dentro come tutti. Oh mamma! Dissi. Come facevo a sopportare tutto quel freddo? Guarda! Neppure tiene la giacca! Nella foga della battaglia la maglia e la maglietta sotto si sono ritirate e lasciano scoperto un brandello di pelle… Non sente la sadica brezza invernale che gela le ossa?! Quindi c’è stato un tempo in cui il mio fisico poteva sopportare le rigidezze dell’inverno?

In men che non si dica, mi ritrovai nel mio letto.

Quando mi svegliai, cominciai seriamente a temere l’arrivo del fantasma del presente.