Il fantasma del passato, andandosene, mi aveva consegnato la chiave dell’archivio dei ricordi, sepolti più o meno volutamente nella coscienza. Sebbene io qui narrerò soltanto ciò che riguarda il ricamo, scrivere aveva fatto emergere umori di natura personale. Avevo ripercorso quegli anni in cui i tre piccoletti scartavano i regali con gli occhietti luccicanti, ma in cui avevo troppa fatica addosso per respirare i momenti: distratta da una missione che si rivelò più tardi fallimentare. Se non sei in connessione, il Natale si trasforma in una pesante scocciatura.

Allo scoccare dell’una di notte, mentre ancora guardavo il soffitto persa in simili pensieri, mi trovai inondata di luce rossastra e mi diressi verso la stanza di là, che non mi stupii di trovare trasformata in un bosco luccicante di bacche lucenti, perché avevo riletto la storia originale. Il fantasma del presente, con la sua veste verde scuro, ornata di pelliccia bianca, se ne stava quieto ad aspettarmi, pronto a partire.

Andiamo! Dissi mogia e rassegnata, senza più quella rude baldanza dei giorni prima.

Mi trovai contemporaneamente in mille case, sparse in tutto il mondo. Qui era estate, là inverno. Fluttuavo sopra al capo di moltissime donne, e di qualche uomo, intenti tutti a maneggiare fili e stoffa. Bambine, ragazze, donne mature e signore molto anziane. Mancavano molti mesi a Natale, ma tutte erano intente a ricamare qualcosa per questa assurda ricorrenza. Potevo leggere nelle loro menti, ripercorrere l’intrico dei loro pensieri. Percepire sulla mia pelle le loro emozioni. Ero attraversata da scariche di vanità, speranza, gioia e riconoscenza, struggimento amoroso, profondo dolore, rassegnazione, quiete e saggezza.

Arrivava tutto, con estrema vividezza e violenza. Paralizzandomi.

Talune, specialmente le più giovani, ricamavano per mettere in mostra le proprie abilità, oppure per rendere noto ai destinatari che per lunghe ore li avevano pensati. Altre ricamavano regali che non sapevano se avrebbero avuto davvero il coraggio di donare, covando la speranza di uscire dal guscio. C’erano mamme in attesa, che cullavano il sogno e il timore del lieto evento, madri stanche che domavano i nervi scossi, zie e nonne in fibrillazione, amiche riconoscenti. C’erano anche donne, generalmente più mature, segnate dagli eventi e dalla malattia, dal lutto e dall’abbandono. C’era pure chi era costretto a farlo per lavoro, per ore e ore, per un nonnulla. Oppure donne di qualunque età che segretamente gioivano di momenti felici. Ciascuna aveva trovato rifugio in quell’angolo di casa, china sulle fibre di cui il proprio paese disponeva. Pesanti e coloratissimi filati di lana o di cotone, rafia, sottilissimi e delicati fili di seta. Il loro corpo era lì, ma la loro mente era dove ero io, sebbene soltanto io ne avessi la consapevolezza, regalatami dallo spirito. Le più giovani ricevevano consigli e consolazione dalle più anziane, ma soprattutto, ciascuna veniva riconosciuta dall’altra per il proprio valore e ciascuna era specchio dell’altra, in quanto portatrice di sentimenti condivisi.

Qualcuna di loro stava ricamando i miei disegni.

Ebbi un tuffo al cuore e mi risvegliai nel mio letto.