Sono tornata.

Sono tornata al ricamo impetuoso che fa nottata, sulla scia di un impulso. 

Anche se non so cosa ne verrà fuori. 

Mi serviva ricamare ancora l’ormai obsoleto soggetto per calcolare la quantità dei filati in vista dei corsi, ma da quando ho confessato della montagna, evocando lo scenario marino pietrificato nelle rocce, una parte del mio cervello lavora giorno e notte e mi sussurra verità profonde, in una dannata lingua che disgraziatamente non riesco a decifrare. Mi sono dunque arresa a cercare le risposte nella quiete operosa e a ripercorrere quello stesso percorso narrato in Ricamare il mare, arrancando però con gli scarponi tra le rocce e risalendo scarpate sconnesse, anziché affondando placida i piedi nella battigia.

Laddove le onde (originariamente foglie d’acanto, ricordate?) si sparpagliavano ad evocare un movimento, qui mi illudo possano ergersi a rappresentanza di un evento geologico tanto drammatico e sconvolgente quanto raggelato, limitatamente ai tempi degli umani e della loro effimera presenza su questa terra. Mentre l’onda del mare incalza impetuosa in un secondo, le pieghe delle rocce avanzano anche di un solo millimetro in un anno, senza fare i conti con la crudele asprezza degli agenti erosivi. 

Si vede? 

Ho aggiunto un filo di verde di boscaglia rada tra le stratificazioni, perché si possa seguire il sentiero attraverso cui valicare le onde di pietra, con un filo argento sottili intrusioni di quarzo o calcite tra i sedimenti pietrificati.

E ho deciso di dedicare il pezzo all’avventura più magica di quest’estate, vissuta in un luogo che ospita il lago Antermoia e in cui potreste ambientare un fantasy o comporre favole, se foste registi o scrittori e aveste l’animo epico e visionario di Tolkien. Ma i luoghi si caricano di incanto, di più incanto, quando il viaggio si fa aspro e formativo, per te e per i tuoi figli, e gli occhi brillano all’improvviso dopo la salita e i compagni di viaggio ti tendono una mano invisibile che ti commuove.