Successe che invitammo anche l’ignara Gabriella di Conti e Molinari a mangiare la pizza e finì che fu lei a saldare il conto.
Però non bevvi il caffè.
Optai per un sorbetto.
Sappiate che io e la Gabriella stiamo tramando nell’ombra.
Ma devo tenermi cucita la bocca e per il momento questo è tutto ciò che posso rivelarvi.
Tornerò dunque alla pioggia di tenere foglie della Patrizia, che, sparse sul tavolo affinché io scegliessi un pezzo, trasformarono le pareti del locale in alti fusti, i lampadari in pozze di cielo tra le fronde, i tavoli in tronchi elegantemente distorti e le sedie in postazioni di fortuna tra muschi e grappoli di funghi. Inutile dire che l’intenso aroma della salsa al tartufo e l’odore dei porcini sparsi sulla mia mozzarella, contribuirono a rendere la suggestione molto realistica. Sospettai strane sostanze tra i vapori fumanti che emergevano dai piatti e che facevano ondeggiare i contorni dei volti delle mie commensali. La conversazione nonsense e strappalacrime che ne seguì, confermò del tutto l’ipotesi.
Ragazze… DOBBIAMO ASSOLUTAMENTE TORNARCI!
Ma non divaghiamo.
Adagiata tra i cuscini di muschio e intenta a sorbirmi il sorbetto al soffio di un tiepido vento profumato d’agrumi, svanito, forse no, il vapore allucinogeno delle pizze, mi decisi a scegliere due pezze, ornate con ghirlande di foglie. In una avrei ricamato una bella P pienotta per Patrizia e nell’altra una Gabriella a punto erba per la Gabriella.
Vedevo le foglioline vibrare nelle scomposte ghirlande e seppi per certo che anche questa volta avrei spolverato la scatola degli sfumati, scegliendo una palette fantasy che evocasse minuscole casette degli gnomi e piccoli colibrì ronzanti e fuggevoli che si fanno appena appena percepire con la coda dell’occhio.

Grazie a Patrizia e ai suoi lavori ho messo in discussione il mio rigido e perentorio schema di simmetria.
Mi ci è voluto un po’ e non è stato facile.
Cercate di capirmi… Patrizia è un’artista nel con-senso comune del termine. Corrisponde al profilo.
Io sono, al contrario, uno sterile prodotto scientifico che per ironia della sorte si è trovato un giorno a ricamare, anziché fare le cose che avrebbe dovuto fare.
Una che un giorno decise di provare a lavorare come un’artista (senza la pretesa di esserlo) e si concesse il lusso di pensare al ricamo come un lavoro. Così il ricamo lo divenne per davvero.
C’era il sole quel giorno, e indossavo una maglia blu.
Però, diciamocelo: quando io disegno, disegno in simmetria. Piego il foglio a metà, disegno una metà, ricalco l’altra metà. Eh già. Di un’artista non sono neanche la metà. Ho una certa qual praticità, che mi consente di mettere tutte nella possibilità di provarci, ma manca quell’istintiva improvvisazione, la fiducia in una mano esperta che si muove assecondando un progetto ben delineato nella mente. Il potere di esprimere su carta una visione.
Patrizia prende il pennello e va.
Nel suo cartiglio non c’è una perfetta simmetria. Ci sono armoniche distorsioni.
Mannaggia! Che rabbia mi facevano all’inizio!
Placide e pazienti le sue asimmetrie mi hanno accompagnato nel corso del ricamo e lentamente si è smussata la mia imperiosa necessità che tutte le foglie a destra e a sinistra cadessero in dritto filo e ho imparato ad amarle come le rughe di un volto familiare.

Ora giorni di duro lavoro ora ci attendono.
Le allegre scorribande modenesi sono terminate.
Privata di caffè e sorbetti, segregata nella mia grotta come il guru della montagna e costretta alla sola compagnia della mia debole mente, iniziai a pensare.
E come è noto a tutte, certe cose fanno male alla salute.