Mio malgrado, presi a ricamare.

Ogni volta che avviavo una nuova gugliata, il ventilatore strappava il filo dalle mie dita, facendolo volteggiare nell’aria densa della stanza. Quando la corrente lo spinse verso il mio viso e il filo rimase incollato sulla guancia umidiccia, mi precipitai fuori di casa a sdraiarmi sotto le stelle. Curiosa coincidenza… Mi trovai a pensare. A San Lorenzo si esce a scrutare il cielo in cerca di stelle cadenti e a Natale si appiccicano ovunque grandi comete. Se ne riuscissi a catturare qualcuna, potrei metterla in un barattolo e conservarla al fresco per Natale…

Tornai dentro. Non è facile ricamare con il caldo, ma i petali a punto pittura hanno su di me l’effetto di un sacchetto di patatine. Se mi lasciate sola e in balia dei miei pensieri, faccio fuori tutto, lentamente e inesorabilmente, fatalmente conscia delle conseguenze. Il colore è la droga. L’alternanza di sconforto e soddisfazione è il motore dell’impresa. Finché il petalo non lo hai finito, non puoi prevedere il risultato. Ci saranno sempre margini di miglioramento: il pittura è la sfida più grande. Corre voce che serva avere ricevuto in dono dalle stelle il senso del colore: non è vero. Io sto copiando le sfumature di Patrizia. Sto soltanto usando la tecnica.

Le fatali conseguenze? Se non tiro la schiena ogni 25 minuti, la rete muscolare perversamente intrecciata nella zona compresa tra la scapola, la clavicola, la spalla e la colonna vertebrale si irrita. Non mi ha perdonato di aver ignorato i suoi messaggi quando ricamavo il mare e da allora fa la permalosa.

Hai finito il ricamo?

No, mi fa male la schiena.

Trova una scusa meno banale e vedi di muoverti, che la fiera è alle porte.