Non so bene perché io abbia tenuto solo per me i lavori in corso del cantiere del punto pieno, senza mai mostrare o raccontare. Sono incapace di tenere i segreti, eppure ho covato in silenzio.

E adesso mi trovo sfasata: cerco di riepilogare qualcosa che mi è sfuggito di mano, mentre faccio altro. E quindi non riesco a raccontare quello che sto facendo adesso e non ricordo più quello che facevo allora.

E mi sento assolutamente costretta a farlo, perché non si può spiattellare una copertina, senza romanzarne l’epica impresa!

Si può?

Allora forse l’urgenza di raccontare è tutta e solo mia: mettere in ordine le parole, svuotando scaffali di sinapsi piene di polvere, potrà fare spazio al nuovo che deve arrivare e che non trova spazio. L’idea di un nuovo inizio, come ad ogni nuova fine, mi paralizza.

Infine, se riuscirò finalmente a lasciare che questa creatura problematica prenda vita propria staccandosi da me, forse una nuova energia potrà diffondersi tra questi neuroni fiacchi e avvizziti, che neppure riescono a ricordarmi gli appuntamenti della giornata.

Dunque cerco di ricordare.

Le prime immagini che riaffiorano hanno come sfondo la carta millimetrata, su cui tracciavo linee rosse blu. Prima del libro era nato il titolo: L’ABC del punto pieno. ABC per evocare la mia maniacale ossessione per gli alfabeti e per lo scopo del manuale, che sarebbe stato quello di indagare i fini movimenti che il punto pieno richiede per brillare, partendo dalle basi, come si farebbe a scuola per imparare a scrivere. Dall’idea della scuola era anche nata l’idea dei colori rosso e blu, che sono i colori della mitica matita che dettava la nostra sorte.

E poi, quando nel lontano 1988 ho iniziato a ricamare… L’ago che tracciò le mie prime iniziali trainava fili rossi e blu!

Ricordo che cercavo di trovare lo stile con cui disegnare (in modo civile) gli alfabeti e ricordo anche che volevo disegnare alfabeti miei. Mi ero fissata con l’idea che avrei disegnato lettere tutte perfettamente inscrivibili in una forma geometrica, affinché le lettere fossero tutte equilibrate. E i primi alfabeti rispettano questo criterio… Poi dovetti soccombere alla prepotenza di certe lettere sovrabbondanti come la M, oppure ad esili creature senza corpo, come la I: ci sono stili con cui bisogna, purtroppo, capitolare all’idea che la M invaderà lo spazio, come la I non riuscirà mai a fare.

Fogli su fogli, scarabocchi su scarabocchi. Prove con penne ad inchiostro, pennarelli, matite colorate. Vinsero le matite: potevo cancellare e sistemare i contorni per renderli più precisi.

Sceglievo gli alfabeti, immaginando di mostrare lavori del passato che volevo poter essere riprodotti e quindi rubavo antichi alfabeti e riadattarli e ridisegnarli.

E poi un gioco di taglia e incolla per dare la forma al campionario: avevo tagliato una o più lettere per ogni alfabeto e avevo passato una settimana a girarle e rigirarle, per trovare una disposizione armoniosa. Nella mente avevo la progressione didattica e l’elaborazione del disegno del campionario aveva creato l’illusione che tutto sarebbe scivolato facile da allora in poi.

Ah! Come ero giovane!

Mi concedo una pausa di biasimo per me stessa e torno a raccontare tra qualche giorno!