Dunque succede che sono di fretta e che proprio mentre il corriere suona alla porta io devo già essere a scuola  a prendere i bambini.
Scarabocchio una firmaccia e mentre mi dirigo verso il garage faccio a brandelli l’involucro per soddisfare l’impellente curiosità. 
Ah, già! Il kit Baby DMC! Guardo la cicogna rosa che regge il tenero fagottino e mi decido ad abbandonare il pacchetto sulla scrivania di mio marito, preparandomi alle occhiatacce delle maestre, scimmiottandone le smorfie.
Roba che a mio marito, rincasando, prende un colpo.
Quando mi annuncia che, dopo due maschi, si consola pensando che è la seconda femmina, rimango col mestolo in aria per un buon minuto, fissandolo bieco e inebetita, mentre quelle povere quattro uova che avremmo dovuto dividere in cinque bruciano desolate nella padella.
Tranquillo… 
Tranquille…
Me lo ha spedito la DMC (fiocchi nascita), per farmici giocare un po’. 

Lo apro e vedo che contiene della stoffa stampata, alcune gugliate di filato rosa acceso e blu, del nastro di raso, un ago, un pacchetto di ovatta, spiegazioni per il ricamo a punto erba e per l’assemblaggio.
Immagino di essere una futura prossima neo mamma a riposo forzato, abituata a domare in ufficio branchi di squali sui tacchi a spillo, vantandosi con le amiche su wapp di non saper attaccare un bottone.
Piombo sola a casa e crollano le mie abitudini.
All’inizio, spensierata, faccio un po’ di shopping selvaggio.
Poi le lunghe giornate, il portafoglio vuoto e la mia nuova condizione mi invitano a meditare. Il dottore ha detto che ho preso troppi chili ed esco per una passeggiata: scopro che le foglie sono verdi e che l’acqua sotto i ponti gorgoglia. Mi siedo sulla panchina e la piccoletta si rigira facendomi ondeggiare questa gigantesca pancia. Vedo la gatta cicciona quanto me scappare dietro il vicolo e non senza angoscia rammento a me stessa che io e lei non siamo poi così diverse. Mai ho percepito di appartenere al mondo animale quanto in questo momento. 
Eppure non vivrei come la gatta, a rigirarmi al sole e ad accattonare crocchette.
Farei qualcosa. Metterei in moto le mani… Perchè dicono che le mamme non le hanno mai ferme le mani e bisogna che mi abitui all’idea. E tutto sommato è un’idea che mi piace.
Tiro fuori dal cassetto quel pacchetto che mi ha regalato mia sorella. Fa il medico e ricama e mi sono sempre chiesta il perchè.
In fondo si tratta di provarci e, in caso, di rispedire al mittente per farselo fare
Prendo l’ago, lotto con la cruna, mi guardo qualche tutorial russo sul punto erba e seguo i limpidi contorni del simpatico soggetto.
Ricamo i fili virtuali a punto filza e gli altri profili proposti proprio a punto erba.
A questo punto mi dico che ho portato a termine l’impresa e che la mia avventura con il ricamo è finita. Nessun problema: lo stile è semplice ed essenziale e ci si può fermare. Toh! Chi l’avrebbe mai detto! Ho anche ricamato nella mia vita!
Così finirebbe la storia se una certa emozione, rara ma non troppo e ineluttabile, non prendesse il sopravvento. 

Allora la storia prosegue…
Sento qualcosa. Un qualcosa che mi riporta alle origini del fare… Sto temporeggiando scrutando quell’abbondanza di filo che ancora mi rimane.
Mi lascio trasportare e immagino, cerco in rete qualche punto nuovo, approdo al blog di Sarah. Scopro quanto è stata brava a catalogare bene tutti i punti base e le loro varianti, che altro non sono che divertenti giochi di filo, e mi butto sulle linee con sfrontatezza.
Con una piccola filza ripasso la scritta è nata... (e un brivido mi attraversa la schiena).
Provo il catenella sulle linee arcobaleno e un po’ di punto mosca.

Passo al blu e mi ci provo col festone, riflettendo su quanto, gira gira, i punti siano tutti uguali, e visualizzando il festone che faranno i miei parenti alla nascita della bimbetta, mentre io sarò reclusa in ospedale. 
Riempio di nodini le ali e la coda della cicogna. Che favola! Come se non sapessi che i bambini nascono sotto i cavoli.

Finisco il filo e la mia vita non ha più senso.

Decido di farmi coraggio e varco la soglia una merceria.
Un gruppetto di signore capitanate dalla titolare si mette a scrutare la mia fatica riempendomi di lodi come mai il mio capo o la mia profe di mate. Mi sento bene. A tutte brillano gli occhi.
Quando la signora apre il cassetto delle matassine, sulla mia retina danzano luci di mille colori e mi ci vorrei buttare dentro per assaggiarle. Capisco di essere ormai perduta per sempre. Annodata a quei fili per tutta la vita.
Torno a casa frastornata e mi getto sul mio ricametto, con una filza ripassata esilarante. Quanto mi piace!

Non mi ferma più nessuno.
Inizia ad imbrunire e dovrei mettere su la cena, ma non demordo. Ci sono quei fiorellini stampati che urlano vendetta.
Provo sulla felpa dei pantaloni extralarge che mi trovo addosso il movimento del punto vapore… Perchè tutte scrivono sul forum che è così difficile?!
Infine mi concedo il più grande piacere della mia breve vita di ricamatrice: il punto palestrina.
Due grasse righe di palestrina a tre fili.

Termino con qualche fioretto qua e là e con il romantico cuore imbottito. 
Stiro all’impazzata e cucio e infiocchetto. 
Sento girare la chiave… E’ arrivato il marito con un regalo. Cercando un libro sulla maternità da regalarmi è finito per caso su un blog di ricamo (tu guarda!!) e si è convinto a comprarmi questo: Il linguaggio segreto dei neonati, di Tracy Hogg. Chi scrive assicura che sarà d’aiuto. 
E ora che la piccoletta ha sei mesi so che anche il ricamo mi è stato di aiuto. Ha calmato i miei nervi scossi dalla stanchezza e ha materializzato lo scorrere lento ed estenuante del tempo, intrecciando ricordi ai fili sulla stoffa.
Capisco infine anche il perchè di mia sorella.
E so che quando riprenderò il lavoro, il ricamo mi aiuterà a reggere i miei squali.
Ho sperimentato il piacere di quel fare, progettare, lasciarsi trasportare, che i più chiamano creatività e che è la radice stessa dell’essere. Che si può estrinsecare in tanti modi…
Io ho scoperto il ricamo.