Riprendo come promesso da questa foto, ma mi urge specificare, anche se è abbastanza ovvio, che questo non è un bizantino. E’ un ricamo che ruba all’Ars bizantina l’idea del motivo in negativo racchiuso in una forma, continua il ladrocinio utilizzando proprio il punto stuoia per il ricamo del fondo, ma osa distorcere in un fiocchetto il palestrina che è più prenestino che bizantino e getta qua e là delle roselline che non sono né l’uno né l’altro. Avrei dovuto presentarlo alla fine dell’escursus bizantino/couching, ma, avendo aperto la parentesi sentimentale sul colore, è sbucato dal mucchio prima dei suoi logici predecessori.
E, visto che ormai ne siamo stati sedotti, ecco la versione azzurra della mitica mano di Cesarina…

Il campione con il tralcio d’uva è tratto dal libro Il ricamo bizantino della Scarpellini.
Ricamato con il DMC 3765, emette una luce unica e brillante. Il mio in ruggine, avendo usato un filato sfumato Calimala, riflette luci mutevoli, con una risultante più opaca. E se mi chiedeste, fossero amanti, quale preferirei, confesserei una relazione clandestina con entrambi, l’uno per le qualità riflessive, l’altro per la prestante esuberanza. 
Ahimè… Solo ricami mi circondano…
Per chi volesse risalire al disegno, ho scelto un alfabeto antico con spessori (One hundred thirty – Antique French Embroidery Alphabets, Shepard, pag.55e in simmetria ho costruito il cartiglio e aggiunto un paio di volute.

Ma torniamo a Ravenna e ai suoi mosaici.
Scacciati sotto il nevischio da ogni ristorante perché Non avete prenotato?!, finimmo una sera in un piccolo locale, ove cenammo in cinque attorno ad un minuscolo tavolino in vimini. Per contenere Alfredo e cercare di motivarlo alle visite dell’indomani, gli misi in mano gli opuscoli sottratti al Centro Informazioni e impiegai malamente il tempo della cena ristretta lamentando col marito l’assenza di un museo che illustrasse la fabbricazione dei mosaici (cosa che, pensavo, avrebbe stimolato maggiormente l’attenzione dei bambini). Lamentavo, con la brochure di tale museo tra le mani. A Ravenna il museo c’è e si chiama molto romanticamente T’AMO, ma senza apostrofo.
Quegli stessi bambini che dovevano entusiasmarsi al museo, esaurirono la memoria e le batterie del mio cellulare per fare le foto mosaicate dei mosaici, con una App che squadretta le foto. Non so cos’altro portarono a casa dalla visita, ma io rimasi folgorata.
Alcuni pannelli in fondo alla chiesa ospitante, mostravano le bozze pittoriche dei mosaici e alcune bacheche gli strumenti dei mosaicisti.
E venne una di quelle rivelazioni che ti fanno apprezzare le banalità che magari tutti conoscono ma che tu, in quel momento, sei in grado di cogliere.
Dalle bozze disegnate capii che i mosaicisti sono più simili a noi. 
I pittori i colori se li creano da pochi pigmenti. Noi non abbiamo cocci di vetro, ma fili. Siamo simili: quelli abbiamo e con quelli dobbiamo cavarcela.
Mi affiorò alle labbra la definizione di Arti Minori… Cercando in rete vedo che tale definizione (che è in sostanza una distinzione tra arte e artigianato) viene considerata superata e che le Arti proprie come pittura, scultura e architettura, ritenute anacronistiche. Eppure ho la percezione che in Italia tutto sia fermo. La presenza della materia tessile nelle scuole relegata alla tecnica industriale. La capacità argomentativa nei musei disarmante. E io mi sento improvvisata e carente di una formazione.
Tornando ai mosaicisti e all’esposizione del TAMO… La loro scatoletta dei cocci… Benché improbabile da infilarsi in una borsetta come le nostre scatolette…
Non vi risveglia sentimenti familiari? 

Un altro pannello mi fece riflettere...
A seconda di come i piccoli pezzi vengono appiccicati al muro, o i fili stesi sulla stoffa, la luce che arriva dal sole o dalle lampade viene riflessa, puntuale, o infranta in direzioni diverse e da quei bagliori ci giunge un’immagine…
Ma questa è un’altra storia ancora.