Tornammo ad Arezzo, dopo aver visitato Assisi, con un piccolo centrino quadrato da regalare alla zia. I miei svenivano all’idea che fossi io a scegliere i regali, perché la lungaggine della sottoscritta era proverbiale. Ma dovevo aver deciso che fosse compito mio. Lo ricordo bene e certo sfruttai l’occasione per immagazzinare la varietà degli ornamenti. Questo era il più tradizionale di tutti, con la classica paperella stilizzata, racchiusa nell’azzurro triangolo.
Non ho impressa la scena della consegna, ma quella immediatamente seguente, in cui lei mi consegnò due libretti, dopo averli estratti con lentezza da un’antica libreria protetta da pesanti vetri opachi lavorati a giglio fiorentino. 
Ricordo gli occhi commossi velati e perlati. 
Non so con esattezza perché. Allora non lo capii bene. 
Uno dei due era l’Album di Adele della Porta, (Punto d’Assisi: insegnamento pratico illustrato, Sonzogno). Tra le pagine, brandelli di carta gialla quadrettata, con greche per fili contati tracciati da una mano esperta, come fossero usciti dalla stampa. E sotto, la nota a mano tremula della zia, che indica l’autore dei disegni: suo nonno.
Ora, che ho vissuto più della metà della vita che allora aveva lei, mi sembra di capire un po’ meglio. Ci vedo, in quel velo di lacrime, la consegna di un’eternità in eredità spirituale, che in parte sanciva anche una resa.
Non vana, spero.
Volgo continuamente lo sguardo al passato e agli antichi libretti di ricamo, per l’intramontabile armonia racchiusa in essi.
Se ne trovo, ai mercatini, lascio che mi seducano e corro sull’Antique pattern library nei momenti di depressione.
Non escludo che tanta parte della motivazione debba ricondurla a questa scena e alla mia incapacità di allora di afferrarne il senso.
E seguito a registrare su questa tela i ricordi.
Nei campi bianchi, racchiusi dalla cornice nera su sfondo azzurro, ho immaginato un inserto ad ago, come spesso ho ammirato in ricami umbri e toscani, anche se la tecnica che io ho usato riconduce più al reticello. Non me ne occupavo da tanto e la voglia di tornarci era forte.

Mi ha fatto piacere pensare che questo pezzo, che mi sono concessa come vacanza da un percorso auto impostomi faticoso ed alienante, serva anche a ripercorrere i miei esordi con il ricamo e  a tornare con la mente ai primi corsi di sfilature e reticello e a riappropriarmi di un amore disinteressato per il ricamo che questi ultimi faticosi mesi mi avevano guastato.
Scrollarmi di dosso, per una volta, quell’esigenza, interessante ma un po’ superficiale, di produrre motivi rapidi e immediatamente scenografici, necessari ai tempi moderni. Tornare all’antico uso di curare ogni dettaglio e ogni spazio, per esigenze di stile e di economia di interminabili ore di lavoro.
E il tempo corre.
 Oh, se corre! Quasi tre ore e mezza per ogni quadrato.
Forse ricorderete un lavoro di anni fa, che raccontai in questo post...

Dallo stesso libretto ho tratto gli angoli per il lavoro in corso.
Quattro centimetri di buco che avrebbero potuto vanificare tutta l’opera di queste tre settimane…
Tremavo, ma ho tenuto saldi i nervi.
Gli esperti riconosceranno evidenti errori, ma insomma, non mi sento di lanciarlo tra le fiamme. L’inesperienza mi ha giocato un brutto tiro: per squadrare gli angoli ho tirato un filo lato per lato, calcolando i 4 cm. L’orlino a cordoncino, stringendo la stoffa, mi ha allargato il buco di almeno 5 mm. Di conseguenza ho dovuto aggiungere un altro giro interno per compensare l’eccessivo spazio e ricamare quel timone, che ben si adatta a manovrare tutto quel mare azzurro.
Eh, sì…
Ora mi aspettano le due sfilaturone centrali…
Ancora non so che pesci pigliare.