Ho lasciato una me vestita di bianco sulla torre Sant’Emiliano che scruta il mare a pochi passi da Porto Badisco, in un luogo in cui i girasoli bruciati e mingherlini, tra i calcari aspri, girano il capo verso le onde in barba al sole. In un perfetto e struggente gioco di colori che accosta il giallo all’azzurro, come solo Madre Natura può permettersi. 
Sogno una tendina di candido bisso svolazzante per la mia me nella torre, ma… 
Questa è un’altra storia.
La striscia umbra ha riposato per un po’ in valigia. 
Un bel giorno le onde hanno richiamato le onde e mi ci sono tuffata. Con meno danni da impatto di quelli del tuffo dallo scoglio di quasi tre metri da cui Anita mi ha gettato. 
Ovvio! Anche lei poi ha fatto la stessa fine.
Un giro a punto quadro piuttosto veloce e rilassante e tre piccoli forellini in ciascun angolo, progettati al preciso ed unico scopo di mettere in uso un piccolo attrezzo uscito dalla mia memoria grazie all’elaborazione di questo progetto umbro.

Avrò avuto pressappoco l’età di Anita. 
Ero in campeggio al mare e, nell’ora del silenzio (guai a violarla, pena la morte), ricamavo una striscia ad intaglio colorata. 
Con la ben nota silenziosa posa, richiamai l’attenzione di una elegante signora senese che, avvicinandosi per chiedere che cosa stessi ricamando, mi regalò una memorabile esperienza. 
Scoprii come il ricamo abbia il potere di attirare spiriti affini e come sia provvisto di un linguaggio proprio, che annulla le timidezze e le differenze d’età. 
La signora, a sua volta, stava ricamando un lenzuolo per la figlia appena sposata (e corse a prenderlo per farmelo vedere), con delle iniziali decalcate, fitte di tante roselline esplose, da ricamarsi a punto vapore… 
Ah! L’imprinting! E chi se lo ricordava?!
Mi insegnò alcune cose e ancora conservo piccoli campioni. 
Mi insegnò anche i buchetti a punto inglese, che realizzava con un punteruolo mai visto prima. 
Io ne avevo uno in plasticaccia rosa e quello mi fece venire l’acquolina in bocca, quando appresi essere un aculeo di istrice
Siccome era moglie di un cacciatore, ne aveva a bizzeffe e me lo regalò senza pensieri. 
Ora ne ho uno in argento tutto intagliato, acquistato in un mercatino dell’antiquariato, ma… 
Questo è IL punteruolo. 
Quando lo prendo mi si affaccia uno sguardo e un sorriso.
Evito di raccontarvi che cosa mi evoca l’orlo a rullino, o prilletta, che dir si voglia,  perché non è di poesia che parleremmo, ma di scurrili parolacce. 
Con il rischio di far venire i capelli dritti nel discutere le difficoltà dell’angolo. 
Confido in ottime maestre a Valtopina. Mi bacchetteranno, ma forse uscirò finalmente dal tunnel della parolaccia.
Posso però mettere una buona parola… 
Ci ho messo molto meno del previsto. Ero stranamente sveglia all’alba e, allo scoccare dell’ora della colazione, avevo già fatto tutto il giro.
Li avrei messi lo stesso perché tipici dell’Assisi, ma i tre nappini all’angolo, ne mascherano l’orrore. 
I punti vapore sull’orlo e di contorno al punto inglese mi sono venuti così
Mi sono fatta trasportare perché un po’ di punto vapore, per ragioni sentimentali, dovevo pur mettercelo, visto che questo lavoro ripercorre la mia storia col ricamo e l’approdo col presente.

Nappe, cordoncini arrotolati, ornamenti a punto vapore, pippiolini… 
In questi ultimi anni ne ho messi parecchi. 
Ho sicuramente imparato ad amarli con i lavori di Assisi e perché sui mobili di famiglia sempre qualche nappa c’era. 
E a questo proposito ho un certo ricordo di infanzia, che lascio intatto in forma di immagine privata nella mia isola.
Vado verso la conclusione.
Tranquille! 
Devo ancora preparare tutto per l’esposizione! 
Siamo nella norma!
Devo anche finire l’ultimo dettaglio, quello che mi sconsigliavano, ma che ho avviato. 
Troppo difficile… Non verrà benissimo. 
Ma dovevo farlo. 
Scappo altrimenti non lo finisco!