Ai tempi di Un alfabeto a fiori, quando ancora l’inesperienza nutriva l’ingenuità di pensare che poche pagine potessero raccontare tutto quello che avrei voluto, scatenai una furiosa battaglia con la grafica, per evitare che mi ritagliasse troppo le foto. 
Lei in realtà faceva il suo sacrosanto ed esperto mestiere. 
Cercava il fuoco e scartava quelle zone della foto che ti fanno venire il mal di mare.
Il mio obiettivo, però, era quello di dare voce alle immagini, senza appesantire con le parole.
E fare in modo che, al di là di disegni e colori, venisse comunicata qualche soluzione applicativa.
Avendo perso la battaglia (cioè vinta, avendo compreso le profonde ragioni di Laura Arnaldi), mi ero ripromessa di compensare la mancanza sul blog. 
Ne è passata di acqua sotto ai ponti, da allora, ma ci ho messo un po’, vi confesso, ad avere il coraggio di risfogliare il libretto. 
E’ andato tutto troppo, e troppo velocemente.
Ma è tempo di tornare indietro nel tempo.
Così oggi colgo il termine del ricamo sul grembiule di G, dipinto dalla celebre Patrizia Silingardi e confezionato in collaborazione con Gabriella di Conti&Molinari, per ritornare col pensiero al primo set di colori, di pag. 30.
Avevo inserito la foto di una tovaglietta che mi era stata fornita già orlata e in cui angolo avevo ricamato la S…

… Che è ovviamente la soluzione più classica.
Avevo scoperto che, nonostante le dimensioni più o meno ridotte, le iniziali (o le composizioni) piene di fiori, hanno una particolare capacità di catalizzare l’attenzione e, nonostante un grande spazio vuoto, riescono a riempire, senza strafare.
Quando lavoravo su commissione, spesso mi trovavo a cercare di smantellare l’idea che le lettere dovessero essere ingrandite di molto, perché risultassero più appariscenti. 
Così spesso mi sono trovata a ragionare sulle grandezze del disegno e sull’equilibrio che il calibro del filato e le dimensioni dei fiori devono avere. 
Ero arrivata alla logica conclusione che lettere più grandi dovessero avere più fiori e non fiori più grandi e che eventuali ingrandimenti o rimpicciolimenti dovessero comportare una variazione del calibro del filato (principalmente aumento o riduzione del numero di fili di mulinè).
Così disegnai due alfabeti, uno alto 11 cm e l’altro alto 7.
Provai a ridurre quello alto 7 cm a 3,5 cm e la ricamai a un filo.

La fortuna volle che la proporzione fosse tale da consentirmi di ricamare con estrema facilità tutti i fiori, conservando il numero di giri del vapore e delle rose, come se nulla fosse cambiato. 
Davvero. 
Credevo sarebbe stato più difficile. 
Salvo problemi particolari di vista, credo che chiunque possa tentare.
Il ciondolo in soutache è opera di Sara Voltolina (Sara Bottoni – Bottoni in arte).
A un filo avevo anche ricamato le rose sulle casette di Nadia Piscaglia

E senza averlo progettato, mi accorgo, scrivendo questo post e allegando i link delle ragazze con cui ho collaborato e di rimando pensando a tutte le altre, che gli anni e questa avventura del ricamo, del blog, dei corsi, dei libri e delle fiere, mi hanno portato all’incontro con persone fuori dal comune, che hanno il coraggio di esprimere con la loro arte le grandezze e le debolezze proprie dell’animo umano, in una ricerca sana e continua, creando una sfera di comprensione e sostegno reciproco.