E’ arrivato il momento di confessare che sto tradendo il ricamo con la montagna.

Sono stata adottata (sarebbe più giusto parlare di affido, per il momento) da un gruppo che si muove solo sugli scarponi. E io, animale acquatico da contemplazione dell’orizzonte piatto delle distese oceaniche, mi sono fatta rapire e fatta trascinare su pericolose cime, dove la forza di gravità scatena la sua massima violenza, trascinando a valle i tuoi polmoni mentre arranchi maldestra sulla salita sconnessa, maledicendo l’istante in cui hai abbandonato il ricamo alla quieta e fresca poltrona con vista ventilatore.
Così va la vita. 
Oggi dovresti essere in spiaggia a scrutare il movimento vivo dell’acqua e delle creature e invece ti sorprendi, attonita e nostalgica, eppure viva, a fissare le onde congelate sulle pieghe delle rocce, dense dei resti della vita che fu, dalle cui ceneri sorgono foreste e sentieri.
E scopri che c’è un’energia sottile che fluisce dalla resistenza fisica a quella spirituale. E che se ce l’hai fatta coi piedi, ce la fai anche con lo spirito. E viceversa, forse.
Ce lo racconterà la nostra Patrizia, quando riuscirò a trascinarla su una vetta impervia, sulla cui radura, dopo aver sbuffato e vociato, richiamando a sé una folla di rudi e bruti montanari, avrà estratto esili pennelli e barattoli di vernice dallo zaino e avrà dipinto delicate rose sulle rocce, trasformando i bruti in agnellini dall’animo gentile e poetico.
E io ricalcherò i suoi colori, come ho fatto, ancora, con queste due iniziali…