Ieri ero a Verona per addestrare il figlio di mezzo agli autobus cittadini, perché inizia la sua nuova avventura alla scuola superiore. L’ho dirottato in Piazza Bra per farvi una foto della fontana delle Alpi. 

Ho notato un paio di cime crollate e credo che l’agente erosivo responsabile, il più temibile tra tutti gli eventi geologici, sia stato il polso di qualche sventurato vandalo dal pelo rado.


Quando avevo l’età di Mario la città aveva il sapore della novità, il fascino delle opportunità e il brivido dell’ignoto e del pericolo, per una che veniva dal paesello.

Poi sono passati gli anni e quando ho iniziato a viaggiare per i miei corsi, negli ultimi dieci, dopo una lunga reclusione domestica, ho percepito un certo malessere in città. A Milano avevo trovato rifugio nel Parco del Sempione. A Firenze nel Giardino dei Boboli. Nascosta all’ombra di siepi o alberi, in un luogo più appartato, dove anche gli scoiattoli osavano scendere per riconnettersi alla terra, osservavo da lontano i gruppi di ragazzi, le coppie di giovani e di anziani, i passeggiatori solitari dall’aria quieta o nostalgica, il disegnatore sulla panchina che ritraeva una statua. Mi arrivavano ovattati gli scoppi di risa, i brusii delle conversazioni, i silenzi. E mi chiedevo se la mia beata quiete contemplativa fosse il germe di una vecchiaia precoce. Poi avevo visto della polvere vorticare in un mulinello e i petali della distesa di anemoni davanti a me ondeggiare e avevo intuito che forse semplicemente avevo spostato il mio oggetto di interesse. Nozioni e sensazioni, passato e presente, realtà e immaginazione si fondevano e in qualche modo le cose prendevano il loro posto così com’erano, senza che necessariamente ci si dovesse trovare un senso.

Proprio ieri ho acquistato l’ultimo libro di Chandra, Questo immenso non sapere. E a pagina 11 leggo… Gli animali e gli alberi insegnano a non sapere, a tollerare di stare al mondo senza l’ossessione di capire.

Per questo la montagna mi ha strappato dall’abisso?

Insomma ci ho visto i sentieri, nei mie riccioli: tortuosi, ora verdi e traboccanti di fiori, ora aridi e sassosi. 

La famosa leggenda del pellegrino dice che potete leggere il vostro percorso giornaliero nella schiuma del cappuccino… Peccato che io non abbia fatto una foto della mia colazione, quando ormai quasi due anni fa ho disegnato questo.

Grazie a quanti hanno seguito questo folle adattamento al mare che fu. A me è servito per tirare alcune somme e per mettere a tacere alcune idee.

In vacanza si fanno post così, un po’ meditabondi, deliranti, confusi. Adesso settembre è iniziato, bisogna tornare persone serie, e faccio qui ora la solenne promessa di rispolverare il mio maniacale tecnicismo ossessivo, tornando finalmente ad offrire un servizio utile!

Con calma farò un post su quel palestrina sfumato, che in realtà è una sequenza di cambi di colore: mi è piaciuto, si può sfruttare… 

Domani sarò sul Delta del Po, con il primo corso della stagione! 

Che bello… Si ricomincia!