Ho voluto tornare ai tempi dei campionari di cartone, ma ho perso un po’ lo smalto.

Pare quasi impossibile che la mia me del passato riuscisse a fare cose. Mi piacerebbe rincontrarmi per chiaccherarmi un po’, ma finirei per tentare di rassicurare la povera creatura spaesata su come certe cose evolvano, violando tutte le regole dei viaggi nel tempo, senza neppure darmi retta. E poi il film finirebbe con la me di ora che guarda la mia immagine che si dissolve allo specchio.

Scusate. 

Quando devo iniziare un post non mi preparo un discorso. 

Forse dovrei cominciare a farlo.

Volevo testare (a posteriori, per i posteri) l’effetto dei colori delle ghiande su sfondi diversi. Ahimè ho tagliato a casaccio le forme e di stoffa se ne vede così poca, che credo che il lavoro sia del tutto inutile. Però riprendere tra le mani cartone, taglierina e colla è stato interessante: ho scoperto che mi mancava. Che sorpresa! Credevo che tra me e certe faccende ci fosse una naturale reciproca diffidenza. Che la colla mi odiasse.

Magari la colla mi odia comunque.

Però la mia mente vaga alla ricerca di un progettino di cartone. Ma non posso distrarmi, adesso. Ho iniziato almeno un paio di lavori e devo tirare dritto coi paraocchi.

Anche alcune amiche hanno colto la sfida e abbiamo disegnato una tovaglietta quadrata per un tavolo rotondo e un runner lungo diversi metri per un tavolo gigantesco. Ho deciso di disegnare degli angoli e dei rami, da comporre facilmente, con la possibilità di dosare la quantità di lavoro a piacimento.

Per amor di completezza (o semplicemente per rubare l’idea alla me del passato), ho rivestito uno dei cartoni in nero. E insomma questi colori, che sui fondi neutri regalano la tridimensionalità ai rami, ma senza strafare, sul nero si agitano e mi chiamano. Sembrano tendere le loro esili braccine per farsi raccogliere tra le dita. 
Sotto di loro l’abisso, nero e profondo.

Devo provarci.