Quando ho iniziato a cercare contenuti aventi come oggetto la creatività, mi sono imbattuta in una serie di filoni della manualistica che sconfinano nel potere di governare la propria mente e i propri sogni e nell’esercitare l’arte della frode attraverso il marketing. Ho dovuto quindi scartare numerose opzioni di dubbia validità e crearmi uno scaffale che contenesse solo ciò che io ritenessi serio. Perdersi in tali meandri si è rivelata comunque un’esperienza divertente e costruttiva, occasione di grasse risate e riflessioni amare. In questo strano e variegato ambito prosperano (in realtà forse solo all’estero) i coaching, anche in campo artistico. I clichè che usano per proporsi sono simili. Alcuni infastidiscono, altri fanno sorridere per la geniale ed efficace combinazione di idee. Uno dei clichè ampliamente sfruttato è la conversazione di Alice con lo Stregatto, a cui non avevo mai prestato attenzione per la mia profonda ignoranza, oppure perchè non era ancora tempo. Sono sempre più convinta che gli imput arrivino solo quando siamo pronti a riceverli. Ho riletto libri che mi entusiasmavano nel passato con atroce noia e mi trovo ora a considerare attività che allora mai avrei immaginato. Semplicemente… si cambia.
http://kidsuniversityverona.it/progetto/
Non voglio banalizzare tutto, ma davvero avere chiara la meta fa la differenza. Quanto scioccamente intuitiva è una considerazione del genere e allo stesso tempo incredibilmente difficile da mettere in pratica? Ci sono mostri del passato che amano scorazzare tra i nostri neuroni, in agguato, pronti a materializzarsi in immagini inconsce, che ci condizionano inconsapevolmente, oppure consce, che ci fanno sussultare scocciati. Intrappolare i mostri tra le sbarre della consapevolezza aiuta a vedere la meta senza che essa venga screditata, ridicolizzata e banalizzata dalla loro presenza.
Anita, forse ve l’ho già detto, dall’alto dei suoi 10 anni ormai fiuta le occasioni buone per rifilarmi una stoccata e quando attacco con discorsi simili scimmiotta imbarazzo dicendo che divento melodrammatica. Vi risparmio dunque ulteriori commenti e vi rimando al libro La via dell’artista di Jiulia Cameron, che ho trovato un po’ troppo spirituale e dispersivo, ma che di fatto mi ha messo all’opera e mi ha fornito di uno strumento potentissimo di riflessione quale è la scrittura privata; a Scrivere zen, di Natalie Goldberg, che ha congelato lo scorrere vacuo e frenetico del tempo, facendomi riflettere sulla possibilità di vivere tre volte la propria vita vivendola, scrivendola e rileggendola; a Scrivere fa stare meglio di Louise De Salvo e Scrivi cosa ti dice il cuore di James W. Pennebaker, che evocano e in parte dimostrano la possibilità che scrivere sia terapeutico; a Prevedibilmente irrazionale di Dan Ariely, che è semplicemente fantastico.
Solo un paio di precisazioni:
– Le traduzioni italiane dei titoli sono criminali. Dietro a titoli dal sapore melodrammatico si celano lavori di tutto rispetto e a volte ricerche universitarie.
– Potrei essere stata nel momento giusto per apprezzare questi testi e voi potreste non esserlo: non delapidate il vostro patrimonio per colpa mia! Io li ho presi tutti in prestito in biblioteca!
– Il beneficio che ho tratto dai testi non è l’intenzione e la motivazione a scrivere così come scrivo il blog o di più e quindi un consiglio di lettura per aspiranti scrittori. Gli scrittori per me sono merce rara di altro genere e io non mi sento minimamente parte di detta sacra cerchia. Parlo di uno strumento di riflessione che io sto usando per potenziare e valorizzare i miei progetti sul ricamo e per indirizzarli verso strade da me mai esplorate e anche per fini strettamente personali.
Veniamo a noi! Quello che potrebbe risultarvi utile di questo ricamo è capire in quale modo possiamo eseguire scritte di ridotte dimensioni in modo preciso e leggibile. Per darvi un’idea, le lettere A e O minuscole hanno un diametro di circa 4mm. Ho provato a ricamare la conversazione di Alice con lo Stregatto con un filo di mulinè e con quello che Trish Burr chiama lo split stitch. Non vi sto ad annoiare, ma pare ci sia discrepanza tra lo split stitch che noi traduciamo con punto risparmiato e con lo split stitch che ho ricamato io e che altro non è che un punto indietro che, anzichè terminare là dove termina il punto precedente, lo spezza leggermente. Io lo chiamo punto indietro spezzato, ma non so se in italiano ha un riferimento legato a qualche tradizione.
Ciao a tutti! E buone vacanze a chi ancora deve partire!
Elisabetta