Ve lo confesso. Questa pandemia tira fuori il peggio di me. 
Non lo avevo capito fintanto che l’amica di chat, stufa, non ha bloccato il mio account.
Non avendo più interlocutori su cui riversare la mia bile, adesso tocca a voi. 
Prendetevela con chi mi ha chiesto più post e più avanzamenti, ma non badate troppo alle spregevoli parole.
La data – venerdì 13 – mi sembra perfetta per iniziare.
Hanno annunciato la PANDEMIA mentre un paio di muratori sanissimi, tosse a parte, sfasciavano una porta a colpi d’ascia.
Io l’ho saputo la sera, perché ero troppo intenta ad occuparmi della didattica a distanza.
Uno dei muratori (il più ardito, estratto a sorte) si era affacciato sulla soglia col cappello in mano e le spalle curve a chiedermi di abbassare il volume delle urla, perché non riusciva a concentrarsi sui colpi.
Io soltanto cercavo di far capire ad Alfredo, come da consiglio dei pedagogisti, che questa non è una vacanza. 
Alfredo non ci crede. E vi assicuro che ha argomenti convincenti.
Gira per casa cantando Quarantaquattro gatti in fila per sei col resto di Ernesto, a ripetizione. E più la mia rabbia sale, più la sua creatività si fa audace.
Devo però ammettere che la creatività è la nota squisita di tutta la faccenda. Starei a casa tutto il giorno sui social ad aspettare una nuova vignetta trash da condividere, e in effetti lo faccio. Ma c’è chi dice che non si scherza su certe cose e devi stare attenta a non far scivolare il condividi sulla chat del catechismo o sul gruppo scuola della profe.
Ho indagato sul perché del mio sottile e malsano malumore e sono arrivata ad una prima conclusione: mi hanno rubato l’hashtag. 
Io resto a casa… da dieci anni. Adesso che è un’ordinanza, non c’è più niente di virtuoso, eroico o sacrificale. Non posso neanche più lamentarmi.
Scorro sconsolata la bacheca di Fb ammirando mamme lavoratrici che grazie alla quarantena riscoprono il piacere di stare a casa a fare una torta con i bambini e ripenso a tutte le volte in cui il candido e gioioso esperimento si è concluso con stramazzi, insulti, volteggiare di mestoli e fumo nero.
L’ultima traccia dell’ultimo disastro è stata appena celata con una mano di tinta dai pittori: la sindone di una bustina di tisana vaniglia e fragole sul soffitto.
La storia continua, non avete/abbiamo scampo.
Quindi arrivo finalmente all’aggiornamento di oggi. La S l’avevo già disegnata, prevedendo di non aver altro spazio dello sgabuzzino delle scope a causa dei muratori. Dunque se corro è perché avevo già tutto pronto. Come vi dicevo, questo è il terzo tentativo di personalizzazione dei colori del mare, con un assortimento neutro di conchiglie. Me l’ero tenuta per ultima, questa palette…
Non so se ci sono riuscita. Non mi sembra. Ma la quarantena cinica forse esaspera il mio senso critico.
Volevo un mare all’orizzonte come quello che si scorge lungo l’alta via tortuosa che da Livorno porta a Follonica. Dove vedi solo il blu, statico, mosso dalle creste bianche delle onde. Non puoi sentirla la brezza, da così lontano, ma la spuma la suggerisce.
Volevo anche il colore verde del mare visto dagli scogli, come quelli delle Rochette, che ti invita a tuffarti estate e inverno.
Forse mi serviva un verde più verde.
Un crimine però si sta consumando: si sta consumando il 739 e non so se riuscirò a fare tutto il palestrina. 
Le mercerie chiuse…
Vi terrò aggiornate.