Dipinto di Patrizia Silingardi |
La guida turistica racconta alla folla la genesi del dipinto primo: di come l’idea originale fosse quella di un semplice e delizioso decoro per quattro numeri e di come l’autrice, presa dalla furia estatica dell’arte, avesse audacemente ignorato l’invito a stare entro i confini, piuttosto evidenti e ben marcati, del telaio stampato. Fonti non riconosciute, precisa sottovoce, assicurano che tra le parti si fosse pure finiti alla mani e che alla fine l’avesse vinta lei perché all’arte non si possono mettere confini. Pare che il giudice fosse la Cesarina, quindi nessuno avanzò e avanzerà mai obiezioni.
Io sono riuscita ad entrare di soppiatto dalle cucine dopo aver corrotto la Vale con un cervo verde ricamato a metà (mi sarei tenuta l’altra metà in caso di bisogno). Ho raggiunto la teca per spiarne il contenuto e, attirata alla creatura come la falena alla luce, ho inavvertitamente posato sui vetri le dita.
Ahia! Ha mormorato la Gabry, ricontrollando l’allineamento dei rotoli di stoffa sullo scaffale…
Siete pazze, voi! Ha aggiunto la Patty ridendo seduta al suo caffè…
E’ scattato l’allarme, ho sollevato gli occhi al cielo, mi sono data alla fuga e ho finito per passare gran parte del tempo nel campo di mais, con la Fulvia appallottolata sulle mie ginocchia, a chiedermi che cosa stesse succedendo di là e a finire l’altra metà del cervo verde, da barattare con una parrucca e un paio di occhiali scuri.
Se non fosse che la parrucca era rossa e di rosse così esiste solo la Patty, nessuna mi avrebbe notato. Invece eccomi a lucidare la teca con l’ammoniaca, mentre tutte si danno alla pazza gioia del punto erba. Hanno iniziato dai rami più spessi, lavorando a due fili con il DMC 611 e aggiunto poi i più sottili col marrone DMC801 a un filo.
Vedo gli occhi, tutti illuminati dalla stessa luce di soddisfazione e fiducia e muoio dalla voglia di tornare anch’io al mio pezzo. Cogli l’attimo! mi sussurra la Nadia, mentre la Sam mette in scena uno svenimento e la Michy mi cambia parrucca.
Sembro un barboncino di cent’anni col pelo ispido, ma, stringendomi nel spalle ringrazio le mie compari ghignando e sollevando entrambi i pollici e corro su una seggiolina libera del Deserto dei Gobi a mettere i primi punti.
Maria Rita, la mia compagna di banco, ha interrotto l’erba di alcuni rami che dirompevano dal telaio, come se fossero rimasti incastrati dalla posa del cerchio esterno del telaio sull’interno. Mi piace così tanto che le rubo l’idea.
Chiedo se ricameremo le foglie e mi viene risposto che no, partiamo da ora. E ora è autunno e i rami sono quasi tutti spogli. Il camino è acceso e un profumo di castagne invade l’aria. Il vento là fuori spazza un ritornello di foglie rosse e gira voce che sui monti stia iniziando a nevicare. Ci prepariamo a ricamare l’inverno, quando la Cesarina annuncia che è ora di andare a correre sull’argine.
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