La vocina ha sempre ragione. 

Non badare alla vocina è come sfidare la forza di gravità, oppure semplicemente come credere che con quel centimetro e mezzo di gugliata riuscirai ad arrivare in fondo al tratto. Devi cambiare subito il filo, così come non puoi gettarti dal quinto piano pensando di riuscire a volare. 

Insomma… Devi ascoltare la vocina che ti dice che il colore è sbagliato.

Il verde non è verde. 

E’ un surrogato di verde molto bello, ma non è il surrogato giusto. Siccome è molto bello, non disfo e faccio finta, come da programma, che ogni scelta creativa sia stata meditata a lungo sotto la medesima cascata e che qualunque difetto sia in realtà da imputarsi alla qualità dell’acqua dell’acquedotto, anziché a quella delle mie meditazioni.

Ma la questione seria è… Perché ho sbagliato? Perché non ce l’ho fatta neanche accostando la stampa alla cartella colori?

Ho due ipotesi:

1. La fretta (superficialità) mi ha giocato un brutto tiro. Mi accorgo di non temporeggiare: scelgo rapidamente, quasi a caso, col senno di poi. Non concedo al mio occhio il tempo di familiarizzare con le sottili differenze di tonalità, saturazione, luminosità (che poi non mi è ancora del tutto chiara neanche la differenza tra queste parole e quindi la superficialità è la mia maschera per l’ignoranza).

2. Il metodo è sbagliato. Non basta la vista da vicino. Avrei dovuto fare un controllo da lontano, su campo bianco: ci ho provato adesso e così facendo sceglierei un verde più verde.

Ma non disfo, eh! Ciao, ciao! A presto col blu!

Si, starò attenta. Metodo e pazienza.