Finalmente avrei aggiunto del colore alla scena!

Mi ero ritirata nella mia stanzetta, dopo aver esaurito la mia pazienza in incombenze tanto futili quanto, purtroppo, necessarie. Chissà se la nostra vita un giorno verrà sfrondata di tutte le sovrastrutture di cui siamo carichi, oppure se ci adegueremo ad un ulteriore sovraccarico.

Con questo quesito filosofico del dopo pranzo avevo riaggiustato i miei pezzi srotolando la matassina di DMC 347 e iniziato a ricamare a punto erba i nastri fluttuanti sopra i rami degli abeti, ricadenti in fiocchi e volute. Avevo ricamato con un solo filo di mulinè, perché la linea così sottile è delicata e bella e il contrasto del colore ci autorizza a farlo.

Ormai mi ero abituata al dolce tepore del caminetto e, non appena la trasparenza dei vetri si era palesata, non mi ero stupita di vedere i nuovi elementi apparsi nella scena. Sottili nastri rossi, legati alla cima di ciascun abete ricadevano mollemente nello spazio vuoto, per poi spingersi sulla sommità dell’abete più vicino, in un adorabile reticolo confuso. L’autore dell’opera aveva annodato i nastri in grandi fiocchi, le cui estremità tendevano al suolo arricciate.

E piccoli pacchetti, ricoperti di carta rossa e annodati con fili oro, scintillavano alla luce del giorno.

Tanti, piccoli e preziosi, ovunque.

Inutile raccontare della voglia di tuffarmi nel ricamo dei pacchetti!

Avevo deciso, rispetto al mio lavoro originario, di dare un po’ di volume ai pacchetti e quindi avevo contornato ciascun elemento con un punto indietro. Quando preparo in questo modo il lavoro, eseguo un punto indietro spezzato, andando a trafiggere con l’ago l’estremità finale del punto precedente. Così ottengo una linea più precisa.

Avevo successivamente lavorato un’imbottitura  orizzontale, eseguita con lunghi lanci interni al contorno e poi coperto tutto con lanci verticali.

Con un capo di filo oro Diamant 3852 avevo lanciato i nastri di confezionamento orizzontali e poi verticali, aggiungendo infine i fiocchi a punto margherita. Il filato oro è un po’ secco e tende a rovinarsi in fretta, quindi taglio sempre gugliate molto corte.

Infine avevo ricamato i nastri a punto indietro semplice.

E quando avevo rialzato gli occhi sulla scena, la porta quasi vibrava, invitandomi ad uscire. Avevo con me gli indumenti pesanti da indossare e i guanti e il cappello e la sciarpa ed ero corsa fuori, nella neve soffice. La giornata era splendida e i bambini giocavano strillando, trascinando slittini e lanciando la neve in aria. Finalmente eravamo riuscite e riusciti a scambiarci qualche parola.

Nel mio peregrinare, di porta in porta, di sentiero in sentiero, ero infine giunta in un luogo più appartato e una melodia tintinnante aveva destato il mio orecchio dal rumore di fondo. Avevo spiato tra i rami, ma le chiome folte oscuravano la vista del cantore. Avrei chiesto a Mario di sfoderare il binocolo per scovare l’eroico autore che canta tra i rami d’inverno.

Ero rientrata, con le guance arrossate dal freddo e il sorriso placido di chi ha spazzato i pensieri.