Riemergo con lo sfolgorio dell’estate, dopo un lungo inverno operoso, ma buio. La mente faceva fatica a scrivere anche la lista della spesa, quindi era impensabile che riuscisse ad articolare qui un qualsivoglia periodo di senso compiuto. 
Vi ho addirittura tradito, ma brevemente e senza soddisfazione, con il popolo di Facebook. 
Ho capito che soltanto qui mi sento tranquilla e sicura di non venire fraintesa. Perchè chi fa lo sforzo di arrivare al blog è una ricamatrice e le ricamatrici, grossomodo, sono fatte della stessa pasta. 
Tanto per cominciare, hanno una insicurezza di fondo, anche in quello che fanno, perchè il senso comune è l’inutilità del ricamo. 
Condividono una finta mitezza che ribolle in emozioni a contrasto e usano placare l’animo con lunghe ore di lavoro, perchè l’ago obbliga muscoli e spirito a ritrovare l’equilibrio. 
Hanno un’innato senso all’accudimento, che le porta, loro malgrado, alla rinuncia di se stesse: sono geneticamente programmate per incassare sconfitte. 
Usano il silenzio per metabolizzare gli eventi e ricamano aspettative… Questo pare essere il loro peggior difetto. 
Tessono relazioni e cuciono i panni di questa e quest’altra, ma giusto per passare oltre la fatica di estenuanti lavori con una chiacchiera in compagnia. 
Vabbè forse soffrono di un po’ di vittimismo. 
Sono sostanzialmente tirchie ovunque, fuorchè in merceria e agli scampoli, ove si prodigano a scaricare tutte le loro frustrazioni e soltanto all’ultimo centesimo, lì, infine il mondo torna a sorridere.
E mentre io e la Gabry procediamo nel brevetto di un cuscinetto portafedi riciclabile, scorporabile in caso di divorzio, con iniziali intercambiabili per seconde e terze nozze, ecco in alto un cuscinetto progettato invece per nozze indissolubili, condite di amore eterno…