Eravamo giunti a Toscolano con il battello, scrutando il cielo in cerca di indizi su quanta acqua si sarebbe riversata su di noi, che avevamo solo un paio di ombrelli e tutta l’impresa da compiere a piedi. 
I tre inconsapevoli erano impegnati a dare nomignoli improbabili alla nidiata di anatroccoli stanata nel porto e mi auguravo che nel tragitto incontrassero famigliole di gatti, cani, volpi e quant’altro ci concedesse che si sviassero da frigne di camminate troppo faticose.
In realtà, fuori allenamento come eravamo, non ricordavo che la natura è il loro elemento e che macinano chilometri senza fiatare, mentre la città li trasforma in irritanti pupattoli capricciosi.
E il tragitto dal porto al Museo della Carta era decisamente alla loro portata (e soprattutto a quella del marito…).

Il primo edificio, che comprende l’ingresso, è dedicato alla storia più antica e riguardo alla produzione della carta avevo già fatto cenno nel precedente post.
Il percorso si conclude con una mostra intitolata Senza ammenda e con più vaghezza.
La mia mente era distratta dal formulare il titolo che avrei dato al post sull’ignobile fine degli stracci ricamati e la soglia dell’attenzione era ormai in calo, come tristemente succede in tutti i musei, al superamento delle prime poche stanze, se ci abbandonano a noi stessi senza una guida.
Dunque mi bloccai di colpo soltanto quando scorsi, tra le pagine di quegli antichi libroni e libbriccini, alcune iniziali di incipit, dall’aria fortemente familiare.

E cominciai ad agitarmi, pensando che avrei dovuto chiedere allo shop se avessero una collezione di iniziali e disegni…
Ma dentro di me qualcosa mi diceva che… Io già li avevo.
Mi girai a guardare con ritrovato interesse la locandina della mostra.

Alessandro Paganini (1517-1538), tipografo, editore, disegnatore…
Ma io… Forse già ti conosco… 
No, dai! Impossibile!
Fotografai il fotografabile, scoprii che allo shop avevano solo qualche segnalibro con un paio di lettere, mangiammo al bar un panino (scampando quell’unica mezzora di pioggia!) e rimandai l’indagine al mio ritorno a casa, perché avevamo da arrivare alla Stretta dei Covoli.
Al mio ritorno impiegai pochi minuti per verificare la mia teoria, che nel viaggio si era articolata, ricomponendo le tessere del puzzle.
Il Paganini era davvero l’editore di una delle primissime risorse, che ai tempi dell’avvio della rete, avevo scaricato con intensa gioia, per la qualità eccezionale dei disegni contenuti nell’opera e per le affascinanti immagini di antiche ricamatrici impegnate nel riporto del disegno. Già avevo usato una di queste illustrazioni sulla presentazione del corso base e ipotizzato, con uno dei disegni, un lavoro a trapunto fiorentino. Avevo ingrandito molto l’immagine, ma poi avevo accantonato l’idea.
Più volte, però, nel tempo, mi ci ero rifatta gli occhi sopra.
Ecco uno dei molti link per scaricarlo, anche in pdf: Il Burato, Libro de recami, P. Alex. Paganini.
E la mente, con un divertente gioco di illusioni, ha raccolto questo vissuto, combinando gli eventi come manifestazione di una fatale percorso guidato dal destino, trasformandolo in motivazione.
Senza pensarci troppo, in barba alle scadenze, ho ingrandito il primo disegno del libro secondo (15 cm di larghezza) e l’ho riportato speculare su una striscia di lino.

Finalmente riprendo gli esperimenti sul punto stuoia, iniziati a Ravenna e temporaneamente abbandonati, con le mani, mai col cuore. 
Li riprendo a Toscolano Maderno e so già quale sarà la mia prossima tappa.
Ma questa è un’altra storia.