Non mi lasciano ricamare (quello che voglio).
Il freddo mi paralizza e la sequenza di compleanni, feste dei santi a sorpresa, sovrabbondanza natalizia, frenesie spenderecce tra luminarie e imprecazioni da parcheggio, mi inquietano. 
Non torno indietro a controllare, ma credo che ogni anno, pressappoco in questi giorni, devo aver riversato qui un po’ del mio consueto astio natalizio. 
Gingle bells!
La carne è debole… 
Ricamo al suono della mia playlist di canzoncine in tema.
Io con le conchiglie ci sto perdendo la pazienza.
Cioè la sto fortificando.
Tempo fa avevo scoperto che qualcuno (Wallace, 1926) si era preso la briga di definire un modello del processo creativo. 
La versione semplificata della teoria (romanzata a mio uso e consumo) riassume il processo in quattro fasi:
– preparazione: raccolta di informazioni e materiali (entusiasmo alle stelle);
– incubazione: elaborazione mentale conscia ed inconscia delle informazioni e dei materiali (prove insoddisfacenti, errori che alimentano l’istinto omicida, necessità di dormirci su per dipanare il groviglio di frustrazione);
– illuminazione o insight: Eureka! (e magari stai lavando i piatti o aspettando il figlio di turno a karate, ma il lumicino della speranza si riaccende);
– verifica: prove, messe a punto e formalizzazione (non è proprio una porcheria dunque ok, basta, non ci penso più e me lo faccio andare bene così, post su blog e Fb).
E’ vero.
E bisogna imparare a non arrabbiarsi troppo nella fase di incubazione: darsi del tempo per partorire l’idea giusta, che tanto se ci tieni a quell’idea, prima o poi una soluzione arriva.
L’importante è dare in pasto al nostro cervello, con un preavviso che, suppongo, dipenderà dalla velocità di elaborazione del proprio software, la domanda giusta… Quello stramaledetto quesito, espresso in forma chiara e semplice. 
Vi tornerà certo in mente la storiella di Alice… Esatto! 
Se non sai dove vuoi andare, non puoi chiedere indicazioni allo Stregatto!
Con le conchiglie il problema sta nel formulare la sequenza di domande giuste: il terreno è così inesplorato, che ad ogni passo sorgono nuovi quesiti. So dove voglio andare a parare alla fine del percorso (lo sapete anche voi, eh?!), ma purtroppo non è possibile partire dal fondo.
E ho sbagliato tutto l’approccio, presa dalla frenesia di partire e dall’impazienza di avere qualcosa di buono tra le mani.
Ho guastato la fase di preparazione lasciando che i quesiti fluissero casuali e affrontandoli con una certa superficialità. Mi sono messa subito a fare prove senza preparare bene un piano d’azione, ho campionato qualche conchiglietta e poi mi sono arenata sui ricci di mare. Volevo ricamarne la carcassa che si trova a volte a riva perché inizialmente avevo una certa idea e poi mi sono arrabbiata e ho cambiato stoffa e l’ho smontata dal telaio che avevo deciso di usare piena di buona volontà e lo sconforto mi ha fatto rovinare tutto e, e, e…

E vabbè. 
Non tutto il male viene per nuocere.
Dalle ceneri dell’insoddisfacente fase di incubazione è sorta un’idea. 
Non certo un’illuminazione, ma la traccia appena appena abbozzata di una strada perseguibile.
Dopo aver scosso il capo disgustata e sconsolata alla vista della mia prima piccola composizione di conchiglie (non ve la mostro perché mi vergogno), scoprii che, al di là della bruttezza compositiva, i colori originali delle conchiglie non mi comunicavano la quieta immensità del mare. 
Mancava il profondo blu.
E non volevo dipendere da una stoffa blu.
Arrivai alla conclusione che dovevo smetterla di pensarla noiosamente scientifica e che dovevo alterare di grosso il punto di vista, affidando alle conchiglie le vibranti note marine.
Mentre ragionavo su queste cose, ripensavo al mare e ai miei primi soggiorni marini e mi venne una gran voglia di usare certe foto subacquee che avevamo fatto con una macchinetta usa e getta io, mia sorella e i relativi morosi. Trovate con inaspettata facilità, decisi di usarle per la mia prima palette del mare. 
Le foto sono vecchie, i colori alterati e sbiaditi. 
Ma parto lo stesso con la Follonica 2001.
Anche perché ho scoperto che…
Nel mio libro, tra le varie palette, quella che mi è sempre piaciuta di più è la azzurra su fondo nocciola con cui ricamai la I.
Forse inconsapevolmente sono sempre andata in cerca del mare.