Ci sono momenti in cui è l’istinto a guidarti. 

Se poi gli eventi si susseguono, portando l’impresa improvvisata al coronamento perfetto di un desiderio nutrito nel tempo, l’illusione di una mano sottile che ti guida prende forma. 

Dopo frustranti ricerche per l’ambientazione del mio corso Ricamare il mare… al mare, mi sono imbattuta per caso in una foto, che mi ha portato a un sito e pochi minuti dopo ad un indirizzo mail. Un paio di giorni di scambi di corrispondenza per valutare la fattibilità e prontamente un appuntamento per visitare la struttura: Hotel Rurale Cannevié a Codigoro (FE), nel cuore del Parco del Delta del Po (www.oasicannevie.com).

Ho caricato in macchina una nonna con la voglia di scappare di casa e un bambino con una canna da pesca che onestamente odio (la canna da pesca, non il bambino… anche se a volte la canna da pesca mi intenerisce di più).

Li ho fatti svegliare all’alba, nutrendoli di sole fette biscottate e rimproveri. Li ho zittiti nel viaggio perché più irritanti del navigatore e silenziosamente siamo scivolati tra campi di mais e girasoli. Pura utopia il silenzio, in realtà, se fate un viaggio con mia madre e il mio ultimo nato.

Stremata dai consigli materni e dalle domande di Alfredo sui luoghi di pesca che avremmo incontrato e su cui io non potevo e non volevo sapere niente, siamo arrivati nei paraggi dell’oasi con troppo largo anticipo. Notando l’estrema vicinanza all’abbazia di Pomposa, abbiamo fatto una deviazione. Ho parcheggiato proprio là dove, anni prima, il resto della famiglia aveva visitato il luogo, mentre io sorvegliavo lo stesso ultimo nato che si era addormentato esattamente all’imbocco del parcheggio, dopo una giornata da urlo. Mai svegliare il can che dorme… 

Ovviamente gliel’ho fatta pesare.

Sosta bagno, caffè, brioche e giretto nel parco con le sculture di legno da spiaggia al Lago dei desideri, il cui nome mi ha fatto nascere il desiderio che il luogo corrispondesse alla aspettative. Perché siamo fatti così (forse solo io e dannata sia la mia tendenza a generalizzare): desideriamo se ci fanno desiderare e costruiamo castelli nello spazio vasto e a volte inutile del cervello, destinati inevitabilmente a crollare, il più delle volte. Il Lago dei desideri, in sostanza, ha insinuato, tra mente e cuore, il terrore di un viaggio vano. Forse anche per l’aspetto un po’ inquietante del suo sorvegliante, esile, precario e spettrale, con qualcosa di più somigliante ad una falce, che a un remo, tra le mani.

Attimi di puro sospetto, paura e trepidazione, mentre l’auto scassata imboccava il viale dell’Hotel, con l’autista me medesima in apnea… 
Infine la pace. 
E, credo, un sorrisetto di boriosa soddisfazione nel volto, mentre Alfredo strillava che doveva andare a vedere se nella laguna c’erano i pesci e la madre si lanciava in esclamazioni di evidente soddisfazione.
Devo farvela breve.
Cercavo un luogo in cui ritrovare lo spirito con cui ho redatto il libro Ricamare il mare e qui, fortuitamente o guidata dal destino, oppure incalzata dall’ometto di legno spettrale del Lago dei desideri, ho trovato un luogo di ritiro, che posso azzardarmi a paragonare a quello di Henry Beston, nella misura in cui il recarvisi diventa fuga dalla frenesia del mondo moderno e la sola natura, con il suo silenzio carico di presenza vitale, rigenera lo spirito e ridimensiona pensieri e drammi. 

Cicale, farfalle, fiori e gabbiani a custodirci, nel Percorso natura integrato nell’Oasi, tra ponticelli e capanni di avvistamento, mentre attendevamo l’arrivo del titolare.
E poi la visita all’Hotel…

Alla Casa del pescatore ora bar e alla futura sala corsi, sullo sfondo della foto, che ha solo porte sulla facciata a vista, ma che si apre con una lunga vetrata a finestra dietro, sull’acqua dell’isola…
Le strutture sono ricavate da un antico casone di pesca e marinatura, con edifici annessi, profondamente ristrutturati, in una cornice naturale intatta.

E poi al ristorante, dove la visita è andata oltre la contemplazione visiva, con grande soddisfazione di Alfredo e non solo…

Prosaicamente ho commentato a tavola che la nostra Casa estrema qui porta il fascino del mare e delle sue brezze, con l’evidente vantaggio che non c’è un’onda oceanica tra capo e collo a spazzarci l’alloggio in una nottata di tempesta e che c’è chi egregiamente procaccia il pescato al posto nostro, concedendoci il lusso di ricamare le conchiglie senza pensiero alcuno.
Ho lasciato il cuore là come ancora per tornarvi il 4-5 settembre. Chi vorrà seguirmi mi scriva per locandina e mail informativa (elisabettaricami@gmail.com).
Termino con l’ultima fase del viaggio al Lido di Volano, due chilometri più in là, dove incontrare il mare vero, un orizzonte su cui far riposare lo sguardo e le conchiglie per nuovi colori…

 E… sì! Abbiamo anche trovato dove pescare. Ci hanno pure sgridato. Ma ne è valsa la pena.

P.S.
La novità è che mia madre si è messa a leggere il mio blog. Se non scrivo, a fini promozionali, che nella pineta di Volano ci sono i daini e che un po’ più in là si possono ammirare i cavalli bianchi (notizie estorte rompendo le scatole ai clienti del ristorante Cannaviè), rischio una settimana di telefonate intimidatorie. Così ho risolto. Scusate, ma le mie orecchie invocano pace.