Ci sono cose a cui non pensi mai, o che dai per scontate. Ad aprirti gli occhi sono per lo più quelle persone che sanno andare oltre il consueto e che hanno capito che alla base del successo (nel senso di riuscire a far funzionare le cose, ma nel migliore dei modi possibili), sta la comunicazione. Quella buona, che accoglie l’ignoranza come invito al racconto.

Insomma qualche giorno fa sono stata invitata a vedere l’avvio delle macchine per la stampa del nuovo libro. Mi si è scoperchiata la voragine di ignoranza in cui sguazzavo, ma la cosa curiosa è che, contrariamente a quanto avrei fatto nel passato, ho messo da parte il mio imbarazzo e ho lasciato che la mia guida mi raccontasse cosa succederà al mio libro e cosa è successo, senza che io ne sapessi alcunché, ai precedenti.

Quando vai a controllare una stampa di prova, frustrazione a parte di trovare altri duecento errori da correggere, solitamente osservi una stampa digitale, grossomodo stampata come facciamo con le stampanti domestiche e commenti la qualità della luce delle foto, gli aloni azzurrini, le ombre troppo accentuate, il contrasto che manca o l’esigenza di licenziare la fotografa che ha fatto pessime foto e dunque di mandarmi a casa. Per imparare certe parole che faccio finta di padroneggiare, tipo contrasto, saturazione ed esposizione, mi ci sono voluti quattro anni. Credevo di essere a buon punto.

E invece, nel varcare la soglia della fucina dei libri, mi si para innanzi una mostruosa creatura di metallo, che potrei descrivere come un vagoncino dei trenini di Gardaland, progettato però per la famiglia dello Yeti. Vengo a scoprire che per stampare un unico foglio (su cui stanno otto pagine A4 che poi verranno ripiegate e tagliate), bisogna incidere quattro lastre in metallo per la stampa in quadricromia: una cyan, una gialla, una magenta e una nera. Queste in sostanza funzioneranno come dei timbri e il foglione, nel suo tortuoso viaggio all’interno della macchina, verrà vidimato ripetutamente, colore per colore. Stampa offset.

Or dunque… Siccome la faccenda presenta tutta una serie di complicazioni e di accidenti che possono accadere allo sventurato foglio, mentre rulla tra i rulli nelle viscere della macchina, astuti autisti e scaltri manutentori si avvicendano attorno alla creatura. C’è chi controlla che i colori non stiano esaurendo e chi, stampe di prova alla mano, dosa la quantità di ciascun colore, perché il risultato sia fedele alla stampa digitale approvata. E’ l’occhio umano a decidere, è la sensibilità cromatica del tecnico a prendere le decisioni. C’è una grossa macchina che è tecnologia, ma c’è un artigiano con l’occhio dell’artista a manovrarla. E un’esperienza del genere si guadagna sul campo.

Qui eccomi a fare finta di saper fare il confronto tra la stampa di prova e il prodotto finito. 

Bleffavo, è ovvio.

Grazie di cuore all’azienda e-graphic di Campagnola di Zevio, con particolare riferimento ad Enrico Lenti, per l’invito e l’impeccabile professionalità con cui segue i grossi editori e i piccoli editoruncoli in erba come me.