Mentre fuori i gatti ululano all’imminente bufera, torno in questo luogo ameno a ritessere le fila.

Sono corsi lenti e frenetici i mesi ricchi di appuntamenti, traguardi, iniziative. Nonostante il brusio dell’allegra brigata al susseguirsi di aperitivi, al mio orecchio giungeva il flebile crepitio del suolo che si squarcia sotto i tacchi e attendevo rassegnata il fatal giorno in cui, terminati i giochi, l’orda di demoni avrebbe trovato un varco tra le pietre per pararmisi innanzi.

Così fu, quando tutto tacque.

Li puoi tenere a bada se, e soltanto se, hai per le mani e nei pensieri un’impresa da portare a termine. 

Se la porti a termine, è la fine.

Non hai il tempo e la forza e le risorse e la voglia di ricominciare subito. Non hai le coordinate e l’ispirazione e il fiato per ripartire. Non sai neppure dove andare in cerca della ripartenza. 

E mentre annaspi sul tabellone di gioco, credendo di poterti concedere una pausa… 

Arrivano. Carichi di rabbia. Me li sono portati al mare e sulla battigia si è consumata un’epica battaglia. Sullo sfondo del teatro, onde furiose e tempesta, raffiche di vento e neve ad accecare la vista e a rallentare il passo. Intorno i bimbetti a giocare nell’acqua placida con secchielli e palette, le coppiette a camminare per manina lungo la riva, le nonne a lamentarsi del caldo sorvegliando annoiate i nipotini.

Forse non giacciono ancora tutti negli abissi, ma so che sono a buon punto perché ho affilato le armi: ho disegnato un cencio e ho preparato l’occorrente.